La rapida diffusione dell'intelligenza artificiale ha riacceso numerose discussioni sul futuro dell'umanità e in particolare sulla possibilità che le macchine possano diventare le forme di vita principali sulla Terra.
Queste elucubrazioni emergono ciclicamente quando emerge una nuova tecnologia rivoluzionaria e quando il cosiddetto "progresso del tecnocapitalismo" accelera, contribuendo a ridefinire l'individuo e il suo rapporto col mondo.
Le potenzialità dell'IA sono innegabili e talmente avanzate rispetto alle rivoluzioni tecnologiche del passato che per molti l'ipotesi di un mondo sotto il controllo delle macchine non sembra più così assurda.
Scott Alexander, uno psichiatra che da anni tratta di temi legati alla tecnologia e al suo impatto sulla vita dell'uomo, ha approfondito la questione condividendo il suo punto di vista su un possibile futuro di convivenza, spiegando perché un esito catastrofico sarebbe difficile, se non impossibile.
Cosa serve all'IA per diventare umana?
Affinché l'IA diventi il successore degli esseri umani non bastano solo le capacità più tecniche, ma servono una serie di caratteristiche proprie degli umani. La prima che nomina Alexander è la coscienza intesa come consapevolezza di sé, una caratteristica al momento i sistemi di IA non hanno perché strettamente legata alle onde cerebrali umane.
In secondo luogo, per creare una società serve individualismo, una caratteristica difficile da replicare nelle macchine. È vero, ci sono milioni di istanze di chatbot e altri sistemi, ma questo ricorda più una mente collettiva che una nazione composta da individui.
Alexander spiega infine che all'IA mancherebbe la curiosità e l'interesse verso l'arte o la filosofia, considerati dei "sottoprodotti" (intesi in senso neutro come risultati accidentali) derivanti da altre decisioni e peculiarità presenti nel cervello umano.
Lo psichiatra analizza anche l'idea di una possibile unione tra uomo e macchina, intesa come una vera e propria fusione del cervello umano con quello artificiale, superando la semplice interfaccia cervello-computer. Alexander sottolinea che si tratta di un'idea piuttosto impraticabile, almeno al momento, perché la fusione richiederebbe una riconfigurazione completa di ogni sezione del cervello; viene da chiedersi a questo punto che senso avrebbe l'unione, visto che di umano non rimarrebbe nulla.
Inoltre, un'entità nata dalla fusione dell'uomo con un'IA non aggiungerebbe nulla alle capacità dei sistemi, destinate a migliorare negli anni, e sarebbe anzi inferiore a essi, e solo leggermente superiore al resto degli umani.
Non dimentichiamo l'istinto di sopravvivenza
Quando si immagina un futuro distopico in cui gli esseri umani sono controllati dalle macchine o dove addirittura la razza umana è stata spazzata via c'è una cosa a cui non si pensa quasi mai: l'istinto di sopravvivenza.
Se l'IA decidesse di rimpiazzarci con la forza, è difficile pensare al fatto che non combatteremmo, così come è difficile pensare che le macchine avrebbero la meglio in uno schiocco di dita. In fondo sono pur sempre e solo macchine, per l'appunto.
In conclusione, Alexander sottolinea che, al di là di qualsiasi convinzione, un'intelligenza artificiale capace di diventare il successore della razza umana non arriverà di certo da un giorno all'altro. Siamo noi gli artefici del nostro stesso destino ed è quindi nostra responsabilità lavorare per un futuro il più desiderabile possibile, costruito per il benessere di tutti.