Quando ChatGPT è stato lanciato a novembre 2022, in soli 5 giorni ha superato il milione di utenti registrati. Il chatbot di OpenAI ha monopolizzato l'attenzione dell'opinione pubblica e contribuito a focalizzare l'interesse del mondo intero verso l'intelligenza artificiale.
La diffusione dell'IA ha acceso numerosi dibattiti legati principalmente alla privacy dei dati utente e all'evoluzione del mondo del lavoro, ma nonostante ciò la tecnologia continua nella sua corsa verso l'innovazione.
Ma qual è il vero livello di adozione tra i lavoratori? Indusface, fornitore di soluzioni di sicurezza, ha condotto un'indagine coinvolgendo 2.000 lavoratori del Regno Unito provenienti da settori diversi e con qualifiche eterogenee per capire come ChatGPT viene usato dai professionisti.
La diffusione di ChatGPT per industria
Dallo studio è emerso che il settore della pubblicità è quello che fa l'uso maggiore del chatbot, col 39% dei dipendenti che lo usa sul lavoro; di questi, l'11% ha affermato di usarlo di frequente (più di una volta a settimana).
Al secondo posto c'è il settore legale, col 37,5% dei dipendenti che usano l'IA, seguito dal settore dell'arte e dell'intrattenimento (33,33%).
Guardando invece ai settori in cui l'IA si usa più di frequente, è quello dei servizi bancari e finanziari a prevalere con quasi il 19% dei lavoratori che utilizzando l'IA più di una volta a settimana.
Gli usi dell'IA
Secondo l'indagine, l'intelligenza artificiale viene usata soprattutto per scrivere report (27%), per effettuare traduzioni (25%) e per scopi di ricerca (17%).
Gli utenti stanno usando ChatGPT e simili anche per scrivere email, sia quelle destinate ai clienti (11,4%) che quelle per i collaboratori interni (7,9%).
Stupisce il fatto che, nonostante ChatGPT venga usato da un numero crescente lavoratori, in media il 55% di essi ha affermato che non si fiderebbe di lavorare con altre aziende che usano il chatbot di OpenAI o di qualsiasi altra firma tech.
Possiamo ipotizzare che i dipendenti, essendo consapevoli dei numerosi rischi e limiti dell'IA, non si fidino non tanto del chatbot, quanto delle capacità altrui di usarlo in maniera responsabile.
Gli impatti negativi dei chatbot sono ancora un territorio poco esplorato: l'IA è diventata popolare solo di recente ed è difficile valutare con precisione le conseguenze degli usi errati. Questa complessità si accentua nel momento in cui è qualcun altro a eseguire i task e non si ha controllo sulla situazione.
I dati, in ogni caso, dimostrano un'adozione ancora piuttosto contenuta dell'intelligenza artificiale: molte persone l'hanno sperimentata almeno una volta, fuori o dentro l'ambiente lavorativo, ma chi la usa regolarmente è ancora una minoranza.
"Il livello di maturità nella gestione dei dati e nella fiducia nei modelli non è ancora ben definito, e i business hanno ragione a non fidarsi del tutto perché sono preoccupati dall'uso o, meglio, l'abuso dei loro dati" ha commentato Venky Sundar, fondatore e presidente di Indusface.
Ci vorrà ancora un po' di tempo prima che l'intelligenza artificiale diventi davvero di uso comune e giornaliero; prima bisognerà sfatare alcuni miti e soprattutto definire normative per la protezione dei dati.