Il settore del private equity si trova ad affrontare una delle crisi di raccolta fondi più severe degli ultimi anni, con investitori sempre più riluttanti a impegnare capitali nonostante le società di gestione offrano sconti e incentivi mai visti prima. La situazione ricorda quella che in Italia si verifica spesso nei mercati finanziari durante periodi di incertezza economica, quando anche gli operatori più esperti faticano a convincere i sottoscrittori. Nei dodici mesi terminati a giugno, le operazioni di raccolta fondi nel comparto hanno raggiunto appena 592 miliardi di dollari, segnando il dato più basso degli ultimi sette anni secondo quanto riportato dal Financial Times citando dati Preqin.
La strategia dei ribassi non funziona
Marco Masotti, responsabile globale della raccolta fondi per il private equity presso lo studio legale Paul Weiss, ha descritto la situazione con parole eloquenti: le società stanno "offrendo un buffet di sconti" pur di attirare investitori. Tra le misure adottate figurano riduzioni delle commissioni di gestione, sconti per i primi sottoscrittori che aderiscono rapidamente ai nuovi fondi e altre forme di incentivazione economica. Tuttavia, questa moltiplicazione di offerte speciali rivela la pressione crescente che il settore sta subendo sul fronte delle commissioni.
Il calo rispetto ai livelli record del 2021 è drammatico: si parla di una riduzione di quasi un terzo della raccolta fondi. La causa principale risiede nell'impossibilità per molte società di private equity di liquidare migliaia di miliardi di dollari di investimenti ormai datati, una situazione aggravata dall'aumento dei tassi di interesse e dal rallentamento delle operazioni di fusioni e acquisizioni.
Trump e l'effetto boomerang delle tariffe
Paradossalmente, quello che doveva essere un fattore di rilancio si è trasformato in un ulteriore ostacolo. Gli operatori del settore avevano riposto grandi speranze nell'elezione di Donald Trump, confidando che le promesse di deregolamentazione potessero stimolare una nuova ondata di attività. "Quell'accelerazione non si è materializzata come ci aspettavamo", ha ammesso Gabrielle Joseph, direttore generale di Rede Partners, società di consulenza specializzata nella raccolta fondi per il private equity.
Le politiche tariffarie della Casa Bianca hanno invece contribuito a raffreddare ulteriormente il clima di investimenti. Un'indagine di Campbell Lutyens condotta ad aprile ha rivelato che il 33% dei limited partner prevede di rallentare gli investimenti nei mercati privati a causa delle tariffe di Trump, mentre l'8% ha optato per una pausa completa. Si tratta di un fenomeno che tocca direttamente le aziende dipendenti da beni importati, dagli orologi svizzeri al caffè brasiliano.
Il peso sui consumatori e le PMI
L'impatto delle tariffe si riversa inevitabilmente sui consumatori finali. Secondo le stime di Goldman Sachs, circa il 70% dei costi aggiuntivi legati alle tariffe viene trasferito agli acquirenti attraverso prezzi più elevati. Il tasso tariffario effettivo medio che i consumatori americani devono affrontare è salito al 18,3%, il livello più alto dal 1934 secondo il Yale Budget Lab, equivalente a una perdita media di reddito familiare di 2.400 dollari.
Nonostante questo scenario complesso, emerge un segnale di resilienza inaspettato dalle piccole e medie imprese. La fiducia delle micro-PMI nella propria sopravvivenza nei prossimi due anni è cresciuta dal 68% registrato tra febbraio e marzo al 75% di giugno, secondo le ricerche di PYMNTS Intelligence. Questo dato suggerisce una capacità di adattamento che contrasta con le difficoltà del mondo finanziario, dove gli investitori istituzionali mostrano invece crescente frustrazione verso un settore che fatica a mantenere le promesse di rendimento degli anni passati.