Scenario Lo spettro dell'automazione: libertà o schiavitù?
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02/05/2025

L'impatto dell'IA sul lavoro: intervista al prof. Resnikoff, storico dell'automazione dal dopoguerra a oggi

Lo spettro dell'automazione: libertà o schiavitù?

L'illusione dell'automazione: come la tecnologia è diventata un alibi per degradare il lavoro

Dietro la retorica del progresso tecnologico e dell'inevitabile sostituzione del lavoro umano con le macchine si nasconde una verità ben più complessa. L'automazione, termine coniato dalla Ford negli anni '40, non rappresenta tanto un processo tecnologico definito quanto una narrazione strategica utilizzata dalle aziende per ridefinire le condizioni lavorative a proprio vantaggio. Quella che viene celebrata come evoluzione tecnologica è spesso solo la maschera di operazioni di delocalizzazione, precarizzazione e compressione salariale che colpiscono duramente i lavoratori. La promessa di un futuro con meno lavoro e più benessere, riciclata ciclicamente dall'epoca post-bellica fino all'attuale entusiasmo per l'intelligenza artificiale, continua a rivelarsi un'utopia ingannevole che serve interessi ben precisi.

La retorica dell'automazione come strumento di controllo sociale

Il termine "automazione" nasce in un contesto particolare: il dipartimento motori della Ford lo introduce negli anni '40 proprio quando l'azienda è costretta, per imposizione federale, a riconoscere i sindacati. Non è un caso. L'automazione diventa subito uno strumento retorico potente, capace di evocare un progresso tecnologico inevitabile contro cui sarebbe inutile opporsi. Come osserva Resnikoff, "il termine era così ambiguo che per i dirigenti definirlo era complesso quanto per i teologi definire il peccato" - un'ammissione eloquente di quanto fosse deliberatamente vago e manipolabile.

La narrazione dell'automazione ha fornito alle aziende una giustificazione perfetta per limitare il potere contrattuale dei lavoratori. Se le macchine sono destinate a sostituire l'uomo, il contributo umano alla produzione viene svalutato e con esso la legittimità delle rivendicazioni sindacali. L'automazione diventa così non tanto una realtà tecnologica quanto un discorso ideologico che naturalizza scelte aziendali precise, presentandole come inevitabile conseguenza del progresso.

L'automazione che non c'è: quando la tecnologia nasconde lo sfruttamento

Gli esempi di falsa automazione abbondano, dal passato al presente. Le casse "automatiche" di Amazon che in realtà nascondono operatori in India, i sistemi di Presto Automation nei fast-food americani che dissimulano lavoratori filippini sottopagati: casi emblematici di come il termine "automazione" mascheri spesso semplici operazioni di outsourcing verso paesi con costi del lavoro inferiori.

Ciò che viene pomposamente chiamato progresso tecnologico è spesso solo un modo per frammentare lavori qualificati e assumere manodopera meno costosa.

Dal punto di vista aziendale, la scelta tra macchine e lavoro umano non è ideologica ma pragmatica: si utilizza ciò che massimizza il profitto. Macchine costose rappresentano investimenti fissi, mentre i lavoratori possono essere licenziati all'occorrenza, anche se potenzialmente più difficili da controllare. La combinazione strategica tra tecnologia e lavoro umano è quindi in costante evoluzione, con l'obiettivo di mantenere costi bassi e controllare il processo produttivo.

La "fabbrica ideale senza lavoratori" teorizzata da Georges Doriot, professore della Harvard Business School, rimane una fantasia manageriale irrealizzabile. Quando la Ford tentò di immaginare stabilimenti completamente automatizzati, si scontrò con costi proibitivi e impossibilità pratiche. Il sogno dell'automazione totale rivela la sua vera natura: il desiderio padronale di liberarsi dalla dipendenza dai lavoratori, non una reale possibilità tecnologica.

Il determinismo tecnologico come errore storico

Uno degli equivoci più diffusi è considerare le macchine come forze autonome che plasmano inevitabilmente le relazioni sociali. Gli storici della tecnologia hanno definito questa visione "determinismo tecnologico" e l'hanno ampiamente screditata. Non sono le macchine a creare situazioni sociali o politiche, ma gli esseri umani che decidono come progettarle e impiegarle.

Il problema non risiede quindi nella tecnologia in sé, ma nelle strutture gerarchiche che ne determinano l'utilizzo. Una società realmente democratica impiegherebbe le macchine in modo radicalmente diverso rispetto all'attuale sistema. L'alienazione delle persone comuni dalla tecnologia, non la tecnologia stessa, rappresenta il vero ostacolo a un progresso che migliori effettivamente le condizioni di vita e di lavoro.

Automazione e crisi democratica: le conseguenze sociali

La disgregazione del modello fordista, in cui salari relativamente alti e un'industria nazionale forte sostenevano una classe media solida, ha portato a disuguaglianze crescenti. Tuttavia, questo fenomeno non è direttamente causato dall'automazione, ma da precise scelte politiche che hanno smantellato lo stato sociale mentre si frammentava il potere contrattuale dei lavoratori.

Le tecnologie avanzate di logistica che facilitano la delocalizzazione, le comunicazioni che permettono l'esternalizzazione e le piattaforme digitali che trasformano impieghi stabili in lavori occasionali hanno contribuito a questo processo. La conseguenza è una erosione non solo economica ma anche democratica: lavoratori frammentati perdono capacità di azione collettiva, indebolendo un pilastro fondamentale della democrazia.

Verso un'alternativa: ripensare il rapporto tra tecnologia e lavoro

Il progresso non equivale necessariamente all'eliminazione del lavoro umano. Come suggerivano pensatori come William Morris, una società migliore potrebbe garantire condizioni lavorative più dignitose e significative, non l'abolizione del lavoro. Per realizzare questo obiettivo, secondo Resnikoff, i governi dovrebbero intraprendere tre azioni fondamentali.

Innanzitutto, separare la sopravvivenza dall'occupazione, garantendo che bisogni essenziali come sanità, istruzione e alloggio non dipendano dall'impiego. In secondo luogo, rafforzare i sindacati dando loro voce nelle decisioni su quali tecnologie adottare e come utilizzarle. Infine, regolamentare lo sviluppo tecnologico considerando non solo gli aspetti ambientali ma anche l'impatto sulle condizioni lavorative.

Un reddito universale potrebbe essere utile, ma risulterebbe meno efficace di uno stato sociale robusto che fornisca servizi essenziali indipendentemente dalla situazione economica individuale. La vera sfida non è compensare chi perde il lavoro a causa dell'automazione, ma ripensare completamente il rapporto tra tecnologia, lavoro e società, restituendo ai lavoratori il controllo sui mezzi di produzione.

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