Scenario Lo smart working non riduce la produttività
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04/12/2025

Banca d'Italia: impatto medio nullo ma con significative differenze tra le singole imprese analizzate nello studio

Lo smart working non riduce la produttività

Il dibattito sulla produttività del lavoro da remoto trova nuovi elementi di riflessione grazie a una recente analisi condotta dalla Banca d'Italia, che ha esaminato l'impatto dello smart working sulle imprese italiane nel periodo compreso tra il 2019 e il 2023. La ricerca, firmata da Gaetano Basso, Davide Dottori e Sara Formai, offre una prospettiva inedita su uno dei temi più discussi nel mondo del lavoro post-pandemia, sfatando alcuni miti ma evidenziando anche significative disparità tra diverse tipologie di aziende.

Quando il lavoro da casa non intacca i risultati aziendali

Contrariamente a quanto sostenuto da molti dirigenti aziendali e manager tradizionalisti, la produttività complessiva delle imprese italiane non ha subito variazioni significative con l'introduzione massiccia dello smart working. L'analisi ha preso in considerazione numerosi indicatori: dai ricavi alle quantità prodotte, dal numero di dipendenti alle ore effettivamente lavorate. Il risultato è stato chiaro: nessun impatto rilevante su questi parametri, né positivo né negativo in termini aggregati.

Anche altri aspetti cruciali della gestione aziendale sono rimasti sostanzialmente immutati. La composizione della forza lavoro, i margini di profitto, i costi variabili e persino gli investimenti nelle tecnologie avanzate della cosiddetta Industria 4.0 non hanno mostrato oscillazioni attribuibili all'adozione del lavoro da remoto.

Le due facce dello smart working: vincitori e perdenti

Dietro la neutralità dei dati aggregati si nasconde però una realtà molto più articolata. Alcune aziende hanno effettivamente registrato miglioramenti di produttività significativi, mentre altre hanno visto un peggioramento delle performance. Il fattore discriminante? La predisposizione culturale al cambiamento che esisteva già prima dell'emergenza sanitaria.

Le imprese più resistenti allo smart working prima della pandemia hanno ottenuto i risultati peggiori

Le realtà che hanno sofferto maggiormente erano proprio quelle che, prima del 2020, mostravano la massima resistenza verso questa modalità lavorativa. Non si trattava solo di un rifiuto ideologico: questi stessi soggetti dimostravano anche una scarsa conoscenza degli accordi e delle normative sul lavoro da remoto, elemento che ha probabilmente contribuito a una gestione inadeguata del cambiamento.

Chi ha continuato a credere nel remoto ha vinto

Le imprese che hanno tratto i maggiori benefici dallo smart working sono quelle che hanno scelto di mantenerlo anche dopo la fine dell'emergenza sanitaria. Questa continuità ha permesso di consolidare le pratiche organizzative e di ottimizzare i processi, trasformando quella che era una necessità temporanea in un'opportunità strutturale. Nel complesso, l'utilizzo del lavoro da remoto in Italia si è stabilizzato su livelli superiori rispetto al 2019, pur rimanendo inferiore ai picchi raggiunti durante le fasi acute della pandemia.

Un quadro ancora incompleto

Gli stessi ricercatori riconoscono i limiti della loro analisi, sottolineando che potrebbero esistere effetti dello smart working non ancora catturati dai dati disponibili o dal periodo temporale considerato. Tra le aree che richiedono ulteriori approfondimenti figurano l'impatto di lungo termine sul mercato del lavoro, le conseguenze sul welfare aziendale e gli effetti sugli investimenti nel capitale umano. Restano da esplorare anche le modifiche alle pratiche di assunzione, le strategie di investimento in tecnologie avanzate e l'evoluzione delle metodologie di management.

Il trend 2025: smart working in ripresa

La ricerca della Banca d'Italia si inserisce in un momento particolare per il lavoro da remoto in Italia. Secondo i dati dell'Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, pubblicati pochi giorni prima dello studio, nel 2025 si registra una nuova crescita del fenomeno dopo la contrazione dell'anno precedente. Anche qui emergono forti disparità settoriali: mentre nelle grandi imprese oltre la metà dei lavoratori utilizza modalità di lavoro flessibile, e la pubblica amministrazione mostra un aumento significativo, le piccole e medie imprese continuano a ridurre progressivamente il ricorso allo smart working, confermando un divario sempre più marcato tra diverse realtà produttive del paese.

Fonte: forbes.it

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