L'intelligenza artificiale sta divorando energia a ritmi allarmanti, ma pochi sembrano preoccuparsene davvero. Come evidenziato da un recente rapporto del MIT Technology Review, nessuno conosce con precisione l'impatto ambientale dei sistemi AI e, cosa ancora più preoccupante, quasi nessuno sta investendo risorse significative per misurarlo. La corsa agli armamenti tecnologici in corso tra i giganti della Silicon Valley ha creato una competizione che segue una logica implacabile: chi si ferma è perduto, indipendentemente dai costi energetici e ambientali.
La corsa che nessuno può permettersi di perdere
Le grandi aziende tecnologiche vedono nell'AI un'opportunità irrinunciabile per catturare utenti e dati. Il timore di essere superati dai concorrenti spinge verso una spirale di sviluppo frenetico: modelli sempre più grandi, generazione di token sempre più veloce, promesse sempre più ambiziose. In assenza di parametri condivisi per valutare la qualità o l'utilità effettiva dell'intelligenza artificiale generale, l'unica strategia possibile sembra essere quella di puntare al "sempre di più".
L'enorme costo energetico, paradossalmente, non rappresenta un problema per questi colossi - al contrario, costituisce una barriera all'ingresso che tiene lontani i concorrenti meno dotati finanziariamente. Le implicazioni ambientali ricevono solo il minimo indispensabile di attenzione, quanto basta per placare temporaneamente l'opinione pubblica e i regolatori.
Economia vs ecologia: quale vincerà?
La spinta verso un'intelligenza artificiale più sobria dal punto di vista energetico dovrà necessariamente venire da fattori economici. L'efficienza energetica diventerà prioritaria solo quando rappresenterà un vantaggio competitivo concreto. La tecnologia esiste già: basti pensare agli smartphone, dove decenni di ingegneria sono stati dedicati all'ottimizzazione energetica a ogni livello, poiché la pressione commerciale per maggiori prestazioni deve fare i conti con i limiti fisici delle batterie.
I data center hanno la loro versione di questa equazione, dove i vincoli fisici sono legati al raffreddamento e alla distribuzione dell'energia. Finché le aziende considereranno questa corsa una questione di sopravvivenza esistenziale, continueranno a investire somme astronomiche per restare competitive, ignorando i costi ambientali.
La lezione degli anni '90: quando Microsoft perse il controllo del web
Un precedente storico significativo si verificò negli anni '90, quando Microsoft comprese l'importanza di Internet e cercò di controllarla a qualsiasi costo. L'azienda tentò di imporre la propria rete, i propri servizi, il proprio browser e i propri standard, tutti profondamente integrati nell'ecosistema Microsoft esistente. Una strategia che aveva funzionato con Windows e Office, ma fallì miseramente online, dove gli standard aperti e il codice open source accelerarono l'evoluzione tecnologica a tal punto da rendere irrilevante l'approccio di Microsoft.
Il fattore neutralizzante per l'AI dei giganti tecnologici non può essere solo l'open source, sebbene questo sia assolutamente necessario. Ciò che serve è una spinta basata sull'open source in tutte le aree dove il modello di business dell'AI proprietaria non può seguire. Rendere i "joule per token" una metrica di riferimento e sviluppare tecniche più efficienti potrebbe cambiare le regole del gioco.
Un ecosistema aperto contro il controllo aziendale
La creazione di un ecosistema aperto di componenti in grado di competere con le tecnologie pubblicizzate, ma che metta il controllo dei dati interamente nelle mani di chi li utilizza, potrebbe essere la chiave. Costruire strumenti completamente liberi dalle logiche di controllo e cattura significherebbe eliminare le ragioni stesse della corsa agli armamenti, permettendo maggiore trasparenza e controllo sul consumo energetico.
Questo richiede uno sforzo considerevole, apparentemente con poche motivazioni economiche immediate. Fortunatamente, la corsa al controllo dell'AI può essere reinterpretata come una competizione tra controllo e autonomia. Con le preoccupazioni sulla sovranità dei dati improvvisamente in cima all'agenda di molti paesi, l'argomento per promuovere un'AI che sfugga al controllo aziendale ha senso a livello statale, almeno al di fuori degli Stati Uniti.
Il paradosso cinese: un alleato improbabile?
Sorprendentemente, la Cina potrebbe avere un ruolo in questo scenario. Sebbene sia un paese autoritario noto per le sue politiche di controllo dei dati, sarebbe nel suo interesse nazionale impedire un monopolio dell'AI da parte delle big tech americane. La questione morale della collaborazione con la Cina è complessa, come sempre: i veicoli elettrici economici stanno espandendo l'influenza cinese mentre danneggiano le industrie occidentali, o sono una parte essenziale del percorso verso la neutralità carbonica?
Non si possono imporre tariffe su standard e codice liberi e aperti. Nel 2001, Steve Ballmer paragonò famosamente l'open source a un cancro. Forse non è l'analogia biologica più appropriata. L'ultima tecnologia che ha avuto un impatto significativo sulle emissioni globali di CO₂ era anch'essa open source, gratuita, ha guidato un'enorme innovazione globale e proveniva proprio dalla Cina. La svolta green potrebbe arrivare da dove meno ce lo aspettiamo.