Dopo un periodo difficile per gli investimenti, nel 2023 la spesa per il digitale in Italia crescerà del 7%, arrivando a un valore di quasi 1,9 miliardi di euro.
L'ultima ricerca dell'Osservatorio Professionisti e Innovazione Digitale della School of Management del Politecnico di Milano ha rivelato che la crisi energetica e quella della supply chain non fermeranno gli investimenti futuri nel digitale.
Nel settore degli studi professionali, le organizzazioni multidisciplinari sono le realtà che, in media, continuano a investire più delle altre categorie (25.060 euro). Se si guarda ai singoli professionisti, la spesa digitale media annuale dei consulenti è di 11.950 euro, quella dei commercialisti è di 11.390 e quella degli avvocati è di 8.890 euro.
La categoria legale è quella che spende meno per il digitale, con quasi 7 studi su 10 che investono al massimo 3mila euro l'anno per le nuove tecnologie. Gli studi legali sono però anche quelli più in sofferenza per la redditività: nel biennio 2021-2022 solo il 57% degli studi ha chiuso l'anno in positivo, contro più del 70% delle altre discipline.
Nonostante la spesa nel digitale sia in crescita, gli studi professionali non nascondono preoccupazione per il proprio futuro. Il timore principale deriva dalle piattaforme digitali sempre più ricche di funzionalità, in particolare da quelle che ricorrono all'intelligenza artificiale: i professionisti hanno paura che i nuovi sistemi sostituiscano progressivamente le attività più standardizzate.
Un'altra preoccupazione è legata alla difficoltà di assumere personale per supportare la crescita dello studio: i professionisti non riescono ad attrarre e trattenere i talenti. Secondo la maggior parte degli intervistati, i motivi principali dietro questa difficoltà sono le retribuzioni troppo basse e la mancanza di percorsi di carriera strutturati.
"I pericoli più percepiti sono trasversali a tutte le professioni, in primis l’avanzata delle piattaforme che erogano servizi legati alle attività tradizionali e le difficoltà nel reperire personale" ha affermato Federico Iannella, Ricercatore senior dell’Osservatorio Professionisti e Innovazione Digitale.
"Emerge un terzo pericolo, evidenziato da commercialisti, consulenti del lavoro e studi multidisciplinari: le difficoltà a gestire il passaggio generazionale. Gli avvocati evidenziano invece maggiormente timori legati alla scarsità di risorse finanziarie per gli investimenti. Mediamente gli studi innovano poco il portafoglio di servizi e usano poco le tecnologie per gestirne la leva relazionale: di fronte a un pericolo percepito, è ridotta la capacità di reagire attraverso la qualità del servizio o l’innovazione del portafoglio servizi per fidelizzare la clientela".
Il patrimonio informatico degli studi professionali
Oggi più dell'80% degli studi professionali utilizza fatturazione elettronica e videochiamate, ma queste sono le uniche due tecnologie comuni a tutte le professioni.
La categoria degli avvocati è in assoluto quella meno digitalizzata: solo il 36% degli studi legali utilizza VPN e piattaforme di eLearning. Tecnologie più evolute come la business intelligence, l'intelligenza artificiale e la blockchain sono diffuse in meno del 6% degli studi.
In generale, nessuna tecnologia è diffusa almeno nel 50% delle organizzazioni legali. La situazione è simile per i commercialisti: nonostante le percentuali di adozione siano più alte di quelle degli avvocati, non superano comunque il 50%.
Meglio invece per i consulenti del lavoro: il 70% di essi sfrutta piattaforme per la contrattualistica e il 63% segue corsi in eLearning.
Dal lato della domanda dei servizi, il 27% delle PMI che hanno avviato progetti di trasformazione digitale trova negli studi professionali giuridico-economici i principali collaboratori.
D'altra parte per il 70% delle imprese gli studi professionali non sono i principali collaboratori per progetti di digital transformation, a riprova della diffusa carenza di competenze digitali tra i professionisti.