Le aziende si trovano oggi di fronte a un bivio cruciale: dopo anni di sperimentazioni con l'intelligenza artificiale e progetti pilota che hanno prodotto risultati incoraggianti ma circoscritti, il 2026 rappresenterà l'anno della verità. Molti amministratori delegati e consigli di amministrazione iniziano a interrogarsi apertamente sulla capacità dei loro responsabili tecnologici di guidare davvero la trasformazione promessa dall'AI. Questa crescente incertezza persiste nonostante gli sforzi spesso eroici dei Chief Information Officer, che si sono trovati a spingere l'agenda dell'innovazione senza ricevere sempre il supporto necessario dalle altre funzioni aziendali.
Il paradosso della domanda insoddisfatta
Nessuna tecnologia nella storia recente ha generato una domanda così intensa da parte delle unità di business come l'intelligenza artificiale. Le divisioni aziendali vogliono muoversi rapidamente e lo faranno, con o senza il coinvolgimento della funzione IT. Tuttavia, poche organizzazioni dispongono delle risorse centralizzate o dei budget necessari per soddisfare direttamente questa domanda crescente.
Il risultato è uno squilibrio preoccupante tra aspettative ed esecuzione. Molti CIO si trovano in una situazione paradossale: i progetti pilota non si traducono in risultati su scala aziendale, l'implementazione di copiloti basati sull'AI non ha generato l'innovazione spontanea sperata, e il flusso continuo di nuovi casi d'uso supera di gran lunga la capacità limitata dei team centrali dedicati all'intelligenza artificiale. Questo disequilibrio ha creato un ambiente in cui le unità di business inevitabilmente procedono per conto proprio, spesso amplificando rischi e inefficienze.
La strategia del doppio binario
I Chief Information Officer più lungimiranti stanno spezzando questo circolo vizioso affrontando l'agenda 2026 su due fronti complementari. Il primo consiste nel trasformare l'IT stesso in un motore di produttività dimostrabile, il secondo nell'estendere la capacità di implementazione dell'AI attraverso un modello federato che coinvolga l'intera organizzazione. Insieme, questi due approcci definiscono il percorso per recuperare il controllo della narrativa sull'intelligenza artificiale e per scalare questa tecnologia in modo responsabile e sostenibile.
Ogni amministratore delegato sta ponendo la stessa domanda in questo momento: dove sono i guadagni di produttività? Molti hanno letto gli stessi report che promettono miglioramenti di efficienza a due cifre attraverso AI e automazione. Per i responsabili tecnologici, questo è il momento di dimostrare concretamente cosa significhi eccellenza, utilizzando l'IT come banco di prova per miglioramenti di produttività misurabili e replicabili che il resto dell'azienda possa poi emulare.
L'analisi granulare delle attività IT
Il percorso inizia reimaginando come appare un'organizzazione tecnologica quando opera al massimo della produttività con l'AI. Si parte da un'analisi delle famiglie professionali che includa tutti: architetti, data engineer, specialisti infrastrutturali, responsabili di team e altre figure. È necessario catalogare quante risorse appartengono a ciascun gruppo ed esaminare dove viene impiegato il loro tempo attraverso attività chiave come sviluppo, supporto, analisi, progettazione tecnica e gestione progetti.
Per un cliente Fortune 500, questa analisi ha rivelato che quasi la metà del tempo complessivo dell'IT veniva speso su cinque attività ricorrenti: sviluppo, supporto, analisi, progettazione tecnica e consegna di progetti. Con questi dati alla mano, il CIO e il suo team hanno iniziato a mappare dove l'AI potesse generare miglioramenti misurabili nel carico di lavoro di ciascuna famiglia professionale.
Prendiamo il gruppo degli ingegneri software. L'analisi ha mostrato che il 45% del loro tempo era dedicato allo sviluppo, con il resto distribuito tra revisione del codice, refactoring, configurazione degli ambienti, debugging e altre attività varie. L'introduzione di una soluzione di AI generativa come GitHub Copilot ha consentito al team di generare e ottimizzare automaticamente il codice, riducendo lo sforzo di sviluppo del 34%. Tradotto in numeri concreti, questo equivale a circa sei ore risparmiate per ingegnere ogni settimana.
Il valore economico della trasformazione
Moltiplicando il risparmio per 48 settimane lavorative e 100 sviluppatori, si ottengono quasi 29.000 ore, ovvero circa un milione di dollari in potenziali risparmi annuali, calcolati su una tariffa oraria media di 35 dollari. Su un orizzonte di cinque anni, considerando i costi e una curva di adozione graduale, il ritorno sull'investimento per questo singolo caso d'uso ha raggiunto circa 2,4 milioni di dollari.
Replicare questo tipo di analisi su tutte le famiglie professionali e le attività produce una roadmap di produttività supportata dai dati: un elenco di casi d'uso AI classificati per impatto e fattibilità. Nel caso dello stesso cliente Fortune 500, sono stati identificati oltre 100 potenziali casi d'uso, ma concentrarsi sui primi cinque ha permesso di ottenere tra il 50% e il 70% del potenziale di produttività totale. Con questo approccio, i CIO non hanno solo un obiettivo, ma un metodo preciso per raggiungerlo.
Il modello hub-and-spoke per democratizzare l'AI
Se lo sforzo dall'interno verso l'esterno costruisce credibilità, quello dall'esterno verso l'interno pone le basi per affrontare lo squilibrio tra domanda e offerta di AI e, in definitiva, per costruire scala. Per colmare questo gap, molte organizzazioni stanno ora progettando un modello operativo hub-and-spoke che federalizzi la distribuzione dell'AI attraverso l'intera impresa, mantenendo al contempo una base coerente di piattaforme, standard e governance.
In questo modello, il centro di eccellenza AI centrale funge da hub per strategia, abilitazione e governance, piuttosto che da guardiano delle approvazioni. Fornisce infrastruttura, asset riutilizzabili, formazione e linee guida, mentre le unità di business assumono la proprietà di consegna, finanziamento e risultati. La potenza di questo modello risiede nella collaborazione tra gli ingegneri AI dell'hub e i team di business nei raggi della ruota.
Un altro cliente Fortune 500, ad esempio, sta implementando la propria visione di un modello operativo AI federato. Riconoscendo i limiti di una struttura centralizzata, il CIO e il team di leadership hanno definito sia uno stato intermedio che una visione a lungo termine per guidare il percorso nei prossimi anni. Lo stato intermedio prevede la creazione di centri di eccellenza AI basati su domini specifici all'interno di ciascuna area di business principale.
La curva a J dell'investimento
Questi hub di dominio sarebbero composti da esperti di piattaforma, consulenti per l'AI responsabile e data engineer, per accelerare la distribuzione locale mantenendo l'allineamento con gli standard aziendali e i principi di governance. Lo stato finale a lungo termine vedrebbe questi centri di dominio evolversi in team più piccoli e potenziati dall'AI, capaci di operare in modo indipendente sfruttando piattaforme e politiche aziendali.
L'organizzazione ha anche mappato come costi e produttività cambierebbero lungo il percorso, anticipando un effetto curva a J con gli investimenti che crescono nelle fasi iniziali prima che la produttività acceleri quando l'azienda "impara a pescare" da sola. Il valore di questo approccio non risiede nell'esecuzione immediata ma nella progettazione intenzionale, definendo chiaramente come avverrà la transizione e stabilendo aspettative realistiche sull'andamento dei costi.
Dopo due anni di sperimentazioni e progetti pilota, il 2026 sarà l'anno che separerà le organizzazioni capaci di scalare l'AI in modo responsabile da quelle che non ce la faranno. Per i responsabili tecnologici, il manuale operativo è ora chiaro: il percorso inizia dimostrando l'impatto dell'AI sulla produttività all'interno dell'IT stesso, per poi estendersi federando le capacità AI al resto dell'impresa in modo controllato e scalabile. Chi riuscirà a eseguire su entrambi i fronti conquisterà la fiducia dei consigli di amministrazione e l'impegno delle proprie organizzazioni. Chi non ci riuscirà potrebbe trovarsi dalla parte sbagliata della curva a J, investendo pesantemente senza mai realizzare il ritorno sperato.