Nel cuore della rivoluzione tecnologica che stiamo vivendo si nasconde un paradosso inquietante: mentre l'intelligenza artificiale promette di creare nuovi posti di lavoro nel lungo periodo, rischia di frantumare il primo gradino della scala professionale, quello tradizionalmente riservato ai giovani che si affacciano al mondo del lavoro. L'allarme arriva da uno studio approfondito di LinkedIn che evidenzia come le mansioni entry-level - quelle che hanno rappresentato per generazioni il punto d'ingresso nelle carriere - siano proprio quelle più vulnerabili all'automazione algoritmica. Un fenomeno che potrebbe avere ripercussioni ben più ampie di quanto immaginato, creando una "generazione interrotta" le cui prospettive professionali potrebbero essere compromesse per decenni.
La crisi silenziosa delle professioni d'ingresso
Aneesh Raman, responsabile delle opportunità economiche di LinkedIn ed ex corrispondente CNN, ha tracciato un parallelo allarmante con la deindustrializzazione americana degli anni '80. Se allora furono gli operai a vedere le proprie mansioni scomparire, oggi sono i lavori d'ufficio entry-level a rischiare l'estinzione. I primi a pagare il prezzo della rivoluzione dell'IA sono proprio i programmatori junior che si occupano di debugging, i neolaureati in legge che analizzano documenti, o i giovani addetti al servizio clienti.
Il fenomeno è già misurabile nei dati: da settembre 2022, il tasso di disoccupazione tra i laureati è cresciuto più rapidamente rispetto alla media nazionale, mentre l'indice di fiducia lavorativa di LinkedIn mostra livelli di pessimismo senza precedenti nella Generazione Z. Ancora più inquietante è che il 63% dei dirigenti aziendali intervistati ammette candidamente che presto l'IA sostituirà mansioni tipicamente assegnate ai nuovi assunti.
Un danno che si propaga nel tempo
Il problema non si limita alla difficoltà immediata di trovare lavoro. Secondo gli studi del Center for American Progress, chi subisce un periodo di disoccupazione di sei mesi all'età di 22 anni potrebbe guadagnare fino a 22.000 dollari in meno nel decennio successivo. È l'effetto "cicatrice" della disoccupazione giovanile, che segna le carriere ben oltre il breve periodo.
Le ripercussioni potrebbero estendersi ben oltre l'economia, influenzando la stabilità sociale e politica. Quando intere fasce della popolazione si sentono escluse dalle opportunità lavorative, aumenta il rischio di polarizzazione sociale e di movimenti politici antisistema, come già osservato in risposta ad altre transizioni economiche.
Riprogettare l'ingresso nel mondo professionale
La soluzione, secondo gli esperti, non è frenare l'innovazione tecnologica ma ripensare radicalmente il concetto di "primo impiego". Le aziende lungimiranti stanno già sperimentando approcci innovativi: da Kpmg, dove i neolaureati grazie all'IA svolgono mansioni prima riservate a professionisti con tre anni di esperienza, allo studio legale Macfarlanes, dove i giovani avvocati vengono subito coinvolti nell'analisi di contratti complessi.
Questa trasformazione risponde anche alle aspirazioni dei giovani lavoratori. Una ricerca di LinkedIn rivela che il 40% dei membri della Generazione Z sarebbe disposto ad accettare una riduzione salariale del 2-5% in cambio di migliori opportunità di crescita professionale. Non cercano solo stipendi, ma esperienze formative che costruiscano competenze durature.
L'Italia di fronte alla sfida generazionale
Nel contesto italiano, dove la disoccupazione giovanile è storicamente più elevata rispetto alla media europea, questa trasformazione rappresenta sia un rischio che un'opportunità. Il nostro sistema, caratterizzato da piccole e medie imprese e da una tradizione di apprendistato artigianale, potrebbe rivelarsi paradossalmente più resiliente se saprà valorizzare le competenze umane che l'IA non può replicare: creatività, problem solving contestuale e intelligenza emotiva.
Le università e gli istituti di formazione professionale italiani sono chiamati a una profonda revisione dei percorsi educativi, privilegiando l'insegnamento di competenze trasversali e capacità adattive rispetto alle conoscenze tecniche facilmente automatizzabili. Il modello di tirocinio andrebbe ripensato non come periodo di mansioni ripetitive, ma come laboratorio di innovazione e pensiero critico.
Un nuovo patto generazionale
Il messaggio centrale che emerge dall'analisi è che occorre un nuovo patto tra generazioni e tra imprese e lavoratori. Come sottolinea Raman, i datori di lavoro devono continuare ad assumere giovani se non vogliono trovarsi senza una pipeline di talenti per le posizioni dirigenziali future, ma devono ridisegnare le mansioni iniziali affinché "insegnino l'adattabilità, non la ripetizione".
L'IA non deve diventare un sostituto del lavoro giovanile, ma un potenziatore di capacità che permetta ai nuovi arrivati di aggiungere valore in modi che la tecnologia da sola non può replicare. Solo così il primo gradino della scala professionale, anziché sgretolarsi sotto il peso dell'automazione, potrà trasformarsi in un trampolino verso carriere più ricche e significative.