Scenario L'Europa punta a diventare leader nei chip
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03/12/2025

L'Europa affronta la dipendenza dai chip asiatici: con il Chips Act e TSMC a Dresda punta a ricostruire la filiera, ma restano sfide su costi e competenze.

L'Europa punta a diventare leader nei chip

La pandemia da Covid-19 ha trasformato i semiconduttori da componenti invisibili della tecnologia moderna a protagonisti del dibattito economico e geopolitico europeo. Quando le fabbriche automobilistiche del continente hanno iniziato a fermare le linee di produzione per la mancanza di chip, i governi hanno improvvisamente scoperto quanto fosse pericolosa la dipendenza dell'Unione Europea dai produttori asiatici, in particolare da Taiwan, che controlla oltre il 60% della produzione globale di semiconduttori avanzati. Questa consapevolezza tardiva ha innescato una corsa contro il tempo per recuperare decenni di ritardi industriali e riportare in Europa una capacità manifatturiera considerata ormai strategica per la sicurezza nazionale.

Il piano ambizioso di Bruxelles per l'autonomia tecnologica

La risposta dell'Unione Europea si chiama Chips Act, un pacchetto di misure approvato nel 2023 che prevede investimenti pubblici e privati per oltre 43 miliardi di euro. L'obiettivo dichiarato è raddoppiare la quota di mercato europea nella produzione mondiale di semiconduttori, portandola dall'attuale 10% al 20% entro il 2030. Non si tratta solo di numeri: dietro questa ambizione c'è la volontà di ridurre la vulnerabilità geopolitica dell'Europa, che in caso di tensioni nello Stretto di Taiwan o di nuove crisi sanitarie globali rischierebbe paralisi industriale in settori chiave come automotive, telecomunicazioni e difesa.

Il progetto più emblematico di questa strategia è la gigafactory che TSMC, il colosso taiwanese leader mondiale nella produzione di chip, sta costruendo a Dresda, in Germania orientale. Con un investimento iniziale di 10 miliardi di euro, condivisi tra TSMC, i partner europei Bosch, Infineon e NXP, e i sussidi governativi tedeschi ed europei, l'impianto dovrebbe entrare in funzione nel 2027. La struttura produrrà semiconduttori a 28 nanometri e inferiori, tecnologia non all'avanguardia assoluto ma fondamentale per l'industria automobilistica e quella dei sensori industriali.

Le contraddizioni di un modello industriale da reinventare

Tuttavia, il percorso verso l'indipendenza tecnologica è disseminato di ostacoli strutturali che rivelano le debolezze croniche del sistema europeo. I costi di costruzione e gestione di una fabbrica di semiconduttori in Europa sono superiori del 30-40% rispetto all'Asia, a causa di normative più stringenti, costi energetici più elevati e una burocrazia che può ritardare l'approvazione dei progetti di mesi o anni. Anche il cantiere di Dresda ha subito ritardi legati alle procedure di autorizzazione ambientale, pur beneficiando di un iter accelerato rispetto agli standard tedeschi.

Riportare i chip in Europa costa il 40% in più che in Asia

La carenza di competenze tecniche specializzate rappresenta forse il limite più grave. L'Europa ha progressivamente smantellato la formazione avanzata nel campo dell'ingegneria dei semiconduttori negli ultimi trent'anni, mentre paesi come Taiwan, Corea del Sud e Stati Uniti continuavano a investire massicciamente. TSMC ha dovuto pianificare programmi di formazione specifici per preparare ingegneri tedeschi alle tecnologie di produzione più sofisticate, e molti esperti dovranno comunque essere trasferiti da Taiwan almeno nelle fasi iniziali. Le università europee stanno cercando di colmare il gap, ma ci vorranno almeno dieci anni per formare una generazione di tecnici in grado di gestire autonomamente fabbriche così complesse.

Il confronto con la strategia americana e asiatica

Mentre l'Europa tenta di ricostruire una filiera produttiva perduta, gli Stati Uniti hanno lanciato il CHIPS and Science Act con 52 miliardi di dollari di sussidi diretti, attirando investimenti da TSMC, Samsung e Intel per oltre 200 miliardi complessivi. La differenza sostanziale è che Washington non punta solo alla produzione, ma investe pesantemente anche in ricerca e sviluppo delle tecnologie di prossima generazione, dai chip a 2 nanometri all'intelligenza artificiale. L'Asia, dal canto suo, mantiene il vantaggio competitivo grazie a ecosistemi industriali integrati dove fornitori, università e centri di ricerca collaborano da decenni in cluster geografici concentrati.

Il modello europeo rischia di rimanere a metà strada: troppo costoso per competere sul volume con l'Asia, troppo poco innovativo per sfidare gli Stati Uniti sull'avanguardia tecnologica. La strategia di concentrarsi su semiconduttori per applicazioni specifiche come automotive e industria potrebbe rivelarsi saggia, ma richiede una rapidità di esecuzione che le istituzioni europee faticano storicamente a garantire. La frammentazione degli investimenti tra diversi stati membri, ciascuno con le proprie priorità nazionali, complica ulteriormente il coordinamento necessario per creare una vera filiera continentale integrata.

Oltre la produzione: il nodo della ricerca e dell'innovazione

Costruire fabbriche è solo una parte dell'equazione. L'Europa eccelle nella ricerca fondamentale sui materiali e nella progettazione di alcuni tipi di chip specializzati, grazie a centri come IMEC in Belgio o Fraunhofer in Germania. Ma la capacità di trasformare questa ricerca in prodotti commerciali competitivi rimane limitata. Le startup europee dei semiconduttori faticano ad attrarre capitali sufficienti per scalare le operazioni, mentre i venture capital preferiscono investire in software e servizi digitali con cicli di ritorno più rapidi.

La fabbrica di Dresda potrebbe catalizzare un ecosistema locale di fornitori specializzati e centri di ricerca applicata, sul modello della Silicon Valley o del parco scientifico di Hsinchu a Taiwan. Ma questo richiede una visione di lungo periodo e investimenti continuativi che vanno ben oltre il singolo impianto. Alcuni osservatori sono scettici sulla capacità dei governi europei di mantenere l'impegno finanziario necessario oltre il primo entusiasmo, soprattutto se pressati da altre emergenze economiche o sociali.

Le incognite geopolitiche e il futuro della sovranità digitale

La dimensione geopolitica complica ulteriormente il quadro. La decisione di TSMC di investire in Europa è stata fortemente incoraggiata dagli Stati Uniti, che vedono nella diversificazione geografica della produzione taiwanese un modo per ridurre i rischi legati a un possibile conflitto con la Cina. Ma questa stessa logica potrebbe rendere l'Europa un teatro di tensioni tra Washington e Pechino, con pressioni per escludere tecnologie o partnership cinesi dalla filiera europea.

L'interrogativo fondamentale rimane aperto: l'Europa può davvero diventare una potenza autonoma nei semiconduttori o rimarrà un attore di secondo piano dipendente dalle tecnologie sviluppate altrove? La risposta dipenderà dalla capacità di superare le inefficienze burocratiche, di formare competenze avanzate e di mantenere una coerenza strategica nel tempo, caratteristiche che non hanno brillato nella storia industriale recente del continente. Il cantiere di Dresda rappresenta un test cruciale: se riuscirà a dimostrare che produrre chip competitivi in Europa è possibile ed economicamente sostenibile, potrebbe innescare una seconda ondata di investimenti. Se invece confermerà i dubbi sugli eccessivi costi e sulla lentezza europea, il sogno dell'autonomia tecnologica rischia di rimanere solo sulla carta.

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