Amazon Web Services ha deciso di correre ai ripari dopo anni di problemi ricorrenti nella sua regione cloud più importante. Il colosso del cloud computing ha infatti introdotto una nuova funzionalità che promette di ridurre l'impatto delle interruzioni di servizio nella zona US East, storicamente al centro di alcuni dei più gravi blackout digitali degli ultimi anni. La mossa arriva in risposta alle pressanti richieste dei clienti, particolarmente quelli operanti in settori fortemente regolamentati come banche, FinTech e SaaS, che necessitano di garanzie più solide sulla continuità operativa.
Un tallone d'Achille da miliardi di dollari
La regione US East di AWS rappresenta da tempo un punto debole nell'infrastruttura del gigante tecnologico, nonostante la sua importanza strategica. Gli incidenti si sono susseguiti con preoccupante regolarità: dall'ormai tristemente noto disastro di DynamoDB del 20 ottobre scorso, ai problemi con le macchine virtuali verificatisi pochi giorni dopo, fino alle interruzioni significative registrate nel 2021 e nel 2023. Quando si verificano malfunzionamenti in questa regione, le conseguenze si propagano a macchia d'olio, colpendo servizi e applicazioni in tutto il mondo.
La nuova soluzione tecnica presentata da AWS mercoledì si concentra sul sistema dei nomi di dominio (DNS), spesso identificato come una delle principali cause di blackout internet su larga scala. L'obiettivo dichiarato è permettere ai clienti di effettuare modifiche DNS critiche anche durante interruzioni regionali impreviste, consentendo loro di attivare rapidamente risorse cloud di riserva o reindirizzare il traffico quando necessario.
Una promessa con margini di rischio
Il cuore della nuova funzionalità sta in un obiettivo di ripristino di 60 minuti durante le interruzioni di servizio nella regione US East. In altre parole, AWS garantisce che i clienti potranno effettuare modifiche DNS entro un'ora dall'inizio di un'eventuale disservizio. Tuttavia, come sottolineato dagli osservatori del settore, sessanta minuti rappresentano comunque un lasso di tempo considerevole durante il quale blackout e interruzioni possono propagarsi su vasta scala, con conseguenze potenzialmente ancora più gravi se Amazon non riuscisse a rispettare questa tempistica.
La posizione di AWS sulla questione è sempre stata ambivalente. Già nel 2022 la società di analisi Gartner aveva avvertito i propri clienti che US East costituiva un punto debole nell'infrastruttura cloud di Amazon, compromettendone la capacità di gestire situazioni di crisi. Eppure, ancora l'anno scorso, AWS aveva dichiarato a The Register che la regione US East non è intrinsecamente meno affidabile delle altre, ma opera semplicemente a una scala talmente colossale da sottoporre i servizi cloud a stress maggiori rispetto alle installazioni più contenute.
Quando la dimensione diventa un problema
Il fatto stesso che AWS abbia sviluppato questa funzionalità racconta una storia lunga anni di difficoltà e critiche. Le organizzazioni che operano in settori regolamentati hanno espresso chiaramente la necessità di maggiori capacità di resilienza DNS per soddisfare i requisiti di continuità aziendale e gli obblighi di conformità normativa. Non si tratta più solo di una questione tecnica, ma di affidabilità percepita e reputazione commerciale.
L'tempismo dell'annuncio è particolarmente significativo: arriva infatti a meno di sei settimane da un problema particolarmente grave che ha colpito US East, attirando nuove critiche sul colosso del cloud. La rapidità con cui Amazon ha presentato questa soluzione suggerisce che la pressione competitiva si fa sentire, con i principali rivali del mercato cloud impegnati in una battaglia serrata per conquistare quote di mercato. Per i clienti, resta la speranza che questa mossa rappresenti l'inizio di un'era più stabile per i servizi cloud critici.